Di che cosa abbiamo paura. Mi limiterò a prendere come paradigmatica, la paura dello straniero e partirò da una realtà che sento vicina, perché riguarda il mio paese di origine, la Svizzera. Ha fatto molto scalpore il risultato del referendum popolare tenutosi il 29 novembre scorso,che poneva alla popolazione la domanda se approvare o no il divieto di edificare altri minareti (quelli esistenti sono quattro) sul territorio nazionale. La risposta(assolutamente non prevista dal governo) è stata SI(bisogna vietare), col 57,5 % dei voti. Uno dei cantoni in cui si sono avuti i risultati più clamorosi è il Ticino, dove il referendum è stato promosso col 68% dei voti .C’è da riflettere :in Ticino, non c’era una sola domanda di edificazione di minareti;la minoranza araba residente in Svizzera, non ha mai avuto legami con frange fondamentaliste, è tra le meglio integrate d’Europa, ottiene la cittadinanza svizzera, secondo norme certe, con tutti i diritti e doveri che ne derivano. E , fatto ancor più straordinario:nelle città che ospitano i quattro minareti, il referendum è stato sonoramente respinto. Di che cosa abbiamo paura. Non di ciò che è reale, evidentemente. Anche da noi, la percezione della presenza straniera è esorbitante, rispetto ai dati reali. La valutazione degli Italiani, sulla presenza degli immigrati è che sia attorno al 20 %.La realtà si aggira attorno al 7,3% (stima per il 2010-Dati Istat). E’ opinione diffusa che “vengano tutti qui”. Guardando ai dati del 2008 (gli ultimi che consentono una comparazione tra l’Italia e gli altri Paesi europei), gli immigrati rappresentano complessivamente circa il 6% della popolazione: tale dato è in linea con la media europea che si attesta al 6,2%. Questo formarsi dell’opinione corrente su qualcosa che è al di là del reale: questo è ciò che dovrebbe spaventare di più, Oggi, la politica che ha più possibilità di successo è quella che mira a confondere il mondo della realtà con quello dei simboli. In funzione propagandistica.Un simbolo vive di vita propria, non ha bisogno dei fatti per essere suffragato, non prevede la sua messa in discussione. Il minareto:un simbolo fallico , che penetra il nostro suolo,il nostro cielo puri e sovrani. Il velo:una presenza che vuole celarsi, che vuole sfuggire al nostro controllo, al nostro ordine. Là dove il simbolo sostituisce il pensiero politico, imperano le opinioni, liberamente scelte dal libero individuo tra quelle che il libero mercato (o lo scenario televisivo)in un dato momento offre. Semplici, efficaci, buone per ogni occasione. Le opinioni non nascono da domande, Circolano al di fuori di noi e in alcune (preferibilmente poche, ma ostinate)ci si viene a riconoscere. Una vale l’altra, tutte hanno pari dignità.
Quelle che mancano sono le idee, manca la loro autonoma elaborazione, che nasce dall’interrogazione della realtà e che da essa trae originalità e forza. Uno dei primi sintomi, che annunciano l’arrivo di un regime autoritario, dice la Arendt in “Ritorno in Germania”,è la scomparsa dei fatti. Il prevalere dell’opinione” (che può essere affermata, smentita,cambiata in ogni momento) cancella la verità dei fatti. Di questo dovremmo avere davvero paura. Bersani, nella campagna durante le primarie , ha cercato di utilizzare alcune parole d’ordine della tradizione di sinistra,in chiave di simboli. Si esprimevano ,sopratutto,in due aggettivi:”popolare” ,“radicato”.Avrebbero potuto essere il succo di un programma politico, ma evocavano simboli. Perché fossero un programma politico, Bersani avrebbe dovuto chiarire chi, nella realtà di oggi, faccia parte del “popolo”. A Rosarno, gli uomini neri protagonisti della disperata rivolta sono“popolo”?I Rosarnesi in rivolta, sono “popolo”? Perché il PD, che si vuole partito “popolare”, non era e non è lì, facendo registrare una presenza politicamente significativa, là dove di politica ce n’è così bisogno? Il “popolo viola” nato su FB, protagonista del No-B-Day, è incluso, nella nozione di “popolo”, che ha il PD? E a tal proposito:l’aggettivo”radicato”: radicato sul territorio. Internet è, per il PD, un territorio?”Territorio” ai tempi della globalizzazione, che significa? Se il PD vuole parlare dei problemi che assillano gli Italiani come più volte ha ribadito, per prima cosa dovrà dedicarsi allo smantellamento dei simboli che cancellano la realtà del paese. La battaglia politica, non può che essere , dunque,al contempo, una battaglia fortemente connotata in senso culturale. Solo battendosi perché la realtà dei fatti si affermi sui simboli (che è battaglia sull’informazione, sulla presenza, sulla testimonianza), il PD potrà davvero ancorarsi a un programma,capace di indicare come muoversi in funzione del futuro.
Marina Rezzonico
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